Mio fratello ha la retinite pigmentosa ma è uno che non si è mai posto un limite nella vita e mi aiutato a tirare fuori il meglio da me stesso. Oggi provo a passare ai miei alunni ciò che mi ha insegnato
Simone ha 38 anni, vive vicino Milano, a pochi isolati di distanza dalla casa dove è cresciuto insieme al fratello di 5 anni più grande, Samuele – per gli amici ‘Sam’, o per molti giocatori di basket ‘il coach’. Anche Sam non vive più nella casa dell’infanzia: ha la sua vita autonoma, una compagna, due figli, un locale da gestire. I due fratelli sono molto legati, stanno insieme almeno un paio di volte alla settimana e capita che vadano anche in vacanza insieme. Samuele ha una malattia rara della vista, la retinite pigmentosa, una malattia ereditaria e degenerativa che si manifesta con grosse difficoltà di visione notturna e con una progressiva perdita del campo visivo.
Per me Samuele è sempre così, aiutarlo in alcune cose è stato spontaneo. A casa mia si è sempre parlato apertamente e con serenità di questa malattia
“Non ricordo quando è stato che ho capito che mio fratello aveva un difetto della visione – racconta Simone – quando gli hanno fatto la diagnosi io avrò avuto più o meno un anno, per me Samuele è stato sempre così, con gli occhiali un po’ più spessi degli altri, con qualche difficoltà a fare le scale. Forse è stato alle scuole medie che ho realizzato che c’era una malattia, ma questa cosa è sempre stata vissuta da tutti in famiglia con molta serenità e naturalezza. Siamo cresciuti insieme e le cose sono venute spontaneamente, segnalargli la presenza di un ostacolo basso, raccontargli alcune scene al cinema, anche se magari qualcuno in sala si lamentava; per me sono tutte cose normalissime. Ricordo che per un periodo doveva andare in ospedale per delle terapie, a volte sono andato con lui altre no, non mi sono mai sentito obbligato e non è mai stato un peso, passare il tempo con mio fratello è sempre stato un piacere. L’ho sempre aiutato nelle piccole cose e in cambio ho ricevuto grandi lezioni di vita. Se avevo delle domande le facevo, prima poi crescendo direttamente a lui: la retinite non è mai stata una cosa nascosta o misteriosa, era semplicemente una componente della nostra quotidianità. Lui non mi ha mai fatto pesare di essere quello a cui non è toccata la malattia, sappiamo che nella lotteria dei geni va così e basta. Visto che il mio approccio alle cose è piuttosto scientifico – non a caso sono laureato in Geologia marina – nel tempo ho cominciato a voler capire di più dei meccanismi della retinite e spesso ho seguito i convegni medici. Sappiamo che arriverà un giorno in cui perderà la vista del tutto, e mi dispiace, ma so che io, la mia famiglia, la sua compagna e i suoi figli saremo sempre al suo fianco”
Il ricordo più brutto? Quando qualcuno lo prendeva in giro. Il periodo più bello? Quando lui ha era allenatore della nostra squadra di basket, un leader nato!
“Certo, non sono state solo rose e fiori, qualche ricordo poco simpatico ce l’ho. Tra i ricordi più brutti ci sono quelli di quando a scuola alcuni lo prendevano in giro per gli occhiali spessi o gli facevano scherzi approfittandosi del fatto che non vedeva bene, io lo difendevo e a volte sono a che arrivato alle mani con altri ragazzini, cosa per la quale sono sempre stato poi sgridato a casa. Ma in fondo sono stati solo degli episodi all’interno di tante cose che abbiamo vissuto insieme, anche se lui era più grande. Io da ragazzino giocavo a calcio, poi ho scelto di cambiare sport sotto suggerimento di mio fratello e giocare a basket. Ho giocato sotto di lui per 5 anni e quando avevo 19 anni ho avuto l’occasione di giocare in serie D per due anni. La società ha chiuso e sono tornato a giocare di nuovo insieme a Samuele. Sì, non ci vedeva bene ma giocava a basket, e poi è anche stato per molti anni allenatore della nostra squadra, e lì ha davvero fatto un capolavoro, ho bellissimi ricordi di quel periodo. Non solo abbiamo ottenuto grandi risultati sportivi, ma anche umani. Nella nostra squadra c’era anche un ragazzo con ritardo cognitivo, ma noi riuscivamo a trattarlo come tutti gli altri giocatori, e gli vogliamo ancora un sacco di bene. Anche se molti di noi non giocano più siamo rimasti uniti e di quel periodo parliamo spesso, che con tutti gli aneddoti ci sarebbe da scriverci un libro. Nel fare l’allenatore mio fratello si è mostrato per quel che è: un leader nato, una persona fortemente carismatica, uno che se anche arrivavi agli allenamenti con poca voglia ti faceva diventare un leone. E così poi è sempre stato ed è nella vita. Non so se sia stata la malattia a renderlo così o se è il suo carattere, non si può fare la distinzione, semplicemente la retinite è parte di lui come lo è il fatto che è alto un metro e 80 o che è uno dei più bei ragazzi della nostra città”.
Da mio fratello ho imparato a non pormi limiti e a provare a tirare fuori il meglio da me stesso, ora provo ad insegnarlo ai miei alunni
“Mio fratello non si è mai considerato un malato o un disabile, non ha mai chiesto nemmeno l’invalidità anche se potrebbe ottenerla: non può guidare la macchina e se fino a qualche anno fa si muoveva in bici per la città poi ha dovuto smettere, perché la malattia progredisce, ma certo non è uno che rimane in casa, semplicemente si muove con i mezzi pubblici. Lo sappiamo che arriverà un giorno in cui perderà la vista del tutto, ma nonostante questo lui non dà mai a nessuno l’idea di essere malato, chi lo conosce per la prima volta spesso non se ne accorge nemmeno. Sam non si è mai posto un limite, ha sempre fatto tutto quello che può. C’è stato il basket ma anche la musica, era bravo anche in quella, suonava e poi aveva fondato una delle prime web radio in società con un amico, poi nel tempo chiusa. Oggi si divide tra il lavoro e i due figli, ma certo non è tipo da stare a casa in pantofole. Da mio fratello ho imparato tantissimo, è stato un fratello maggiore esemplare: assorbire la sua filosofia di vita a volta è stata dura ma grazie a lui sono riuscito a migliorarmi. Ho visto come lui è stato capace di tirare fuori da sé stesso il meglio e superare ogni ostacolo possibile. Ho capito che se riesci a vivere almeno all’80% delle tue possibilità hai già ottenuto un enorme risultato: spessissimo ci accontentiamo di molto di meno, mettendoci da soli dei limiti. E vivendo con Samuele ho anche imparato tanto sulla disabilità, ho capito il valore di un posto riservato o di uno scivolo e tutte queste cose provo ogni giorno a trasmetterle ai ragazzi con cui lavoro cominciando con il dare il buon esempio. Dopo la laurea, infatti, ho scelto di insegnare e ho trovato lavoro in questa scuola di recupero anni scolastici. I ragazzi che la frequentano hanno spesso alle spalle delle storie terribili, che si fa fatica anche ad immaginare, vorrei aiutarli a sviluppare le proprie capacità, a tirare fuori il meglio da sé stessi”.