Ho sempre temuto di deludere le aspettative dei miei genitori, perché essendo io la figlia sana, tutte le speranze erano appuntate su di me
Valeria è nata 26 anni fa a Molfetta, a una ventina di chilometri da Bari, e oggi vive a Ravenna, dove lavora in uno studio di ingegneria, dopo essersi laureata lo scorso anno in Historic Building Rehabilitation all’interno della facoltà di Ingegneria Edile di Ravenna. Oggi Valeria divide la sua giornata tra lavoro e studio per l’esame di Stato, ma in vista c’è un cambiamento ancora più grande: a settembre lascerà l’appartamento che condivide con altre studentesse da sei anni per andare a convivere con il suo ragazzo. A Molfetta, dove riesce a tornare solo raramente per via della distanza oltre che della pandemia, ha lasciato i genitori e suo fratello minore Francesco, detto Chicco. Chicco ha 25 anni, appena un anno in meno di Valeria, e una malattia rara chiamata Acidemia Metilmalonica con Omocistinuria (CBLC): un difetto congenito del metabolismo della vitamina B12 che si manifesta, perlopiù, in età neonatale, con anemia megaloblastica, letargia, ritardo della crescita e dello sviluppo, deficit cognitivo e convulsioni, deterioramento neurologico acuto e retinico. La lontananza, però, rende ancora più difficile la comunicazione già non semplice con Chicco. “Già è complicato comunicare con lui di persona, figuriamoci a distanza”, puntualizza Valeria. “Non sappiamo esattamente quanto sia in grado di vedere, quindi per entrare in contatto con lui uso soprattutto la voce. Lui si rende conto che si tratta della mia voce, ma non comprende da dove provenga esattamente. È però consapevole che non sono a casa, sono circa sei mesi che non riesco a tornare. Ogni volta che torno, riesce ad avvertire la mia presenza e direi che si rende anche conto che non vivo più con loro”.
Valeria si descrive come una persona socievole e ottimista: “Sono nata in una famiglia positiva, i miei genitori sono molto ironici e io sono cresciuta vedendo sempre il bicchiere mezzo pieno. Con Chicco in famiglia dobbiamo necessariamente vedere tutto positivo, non abbiamo scelta. Il rovescio della medaglia è che ho sempre temuto di deludere le aspettative dei miei genitori, perché, essendo io la figlia sana, tutte le speranze erano sempre appuntate su di me. Ho sentito questo carico di responsabilità fin dal liceo, come se dovessi riscattare la malattia di Chicco agli occhi dei miei genitori, come se dovessi fare le cose anche per lui, prendere la laurea anche per lui, vivere anche per lui. Da allora sono una figlia responsabile e rispettosa, una con la testa sulle spalle: loro mi hanno mandato a studiare fuori e io ho dato tutti gli esami in tempo anche per non fargli spendere troppi soldi. Non so se sia corretto dire che sono una figlia modello, ma se mi paragono ai miei coetanei posso senz’altro affermare di non aver mai avuto né dato problemi, e spero che i miei non abbiano troppo da lamentarsi di me”.
A Valeria non sfuggono, però, gli elementi negativi che un atteggiamento così ligio al dovere comporta. “Essere sempre così seria e affidabile mi è un po’ pesato”, ammette: “non perché abbia voglia di trasgredire, ma perché spesso mi sono sentita addosso troppe responsabilità, anche negli anni in cui volevo fare degli errori. Dentro di me c’era una vocina che diceva: se non sei brava tu, chi può essere bravo? Forse questa attitudine mi è pesata di più nel periodo dell’università che negli anni del liceo: crescendo è cresciuto dentro di me anche il desiderio di assecondare i miei genitori, senza mai concedermi momenti di pausa. Sono stata sempre molto diligente, la figlia di cui non ci si poteva proprio lamentare”. Fortunatamente la volontà di compiacere i propri genitori per Valeria non si è mai tradotta in scelte che non sentiva come proprie. “Prima di prendere una decisione ci penso su molto bene”, scandisce. “Alla fine del liceo potevo scegliere di rimanere a casa per dare una mano alla mia famiglia. Invece ho deciso di andare a studiare fuori e non mi sono mai pentita di questa scelta, anche se ogni tanto mi dispiace un po’ di non essere a casa per poter aiutare i miei. Inoltre”, aggiunge, “la mia è una famiglia molto protettiva e al liceo mi sentivo sotto una una campana di vetro. Spesso i miei mi trattavano come se non potessi scegliere da sola e, di conseguenza, sbagliare. Se non me ne fossi andata, sarei rimasta sotto la loro ala protettrice e non avrei costruito il carattere che, invece, ho costruito col tempo”.
Alla domanda di descrivere Francesco, Valeria risponde così: “Chicco è un ragazzo bellissimo, molto alto e con occhi stupendi, ama tantissimo la musica e adora nuotare, ma non gli piacciono allo stesso modo gli animali: abbiamo un gatto che ignora, per lui non esiste. Sono stata io a portarlo a casa pensando a lui, dopo aver a lungo tentato di convincere i miei genitori a prendere un cane. Poi, quando Chicco aveva 15 anni, ho portato a casa il gatto, un animale meno impegnativo del cane. Purtroppo tra i due non si è instaurato alcun rapporto, eppure quando era piccolo Chicco amava gli animali, evidentemente questa passione con gli anni si è affievolita. Oltre alla musica”, precisa Valeria, “gli piace la Melevisione, il mare e, soprattutto, camminare. Come famiglia abbiamo fatto tante vacanze in montagna e nelle capitali europee e lui camminava tutto il giorno, senza stancarsi mai. I nostri viaggi sono stati sempre molto tranquilli, la sua presenza non ha mai costituito un limite o un impedimento per gli altri. Per il resto gli piace mangiare, specialmente la pasta e i dolci, e fino a qualche tempo fa non si stancava mai di sfogliare e rigirare tra le mani dei piccoli libri, per lui è un po’ come se stesse leggendo”.
Quanto al loro rapporto, Valeria precisa: “Il nostro, ovviamente, non è un rapporto normale, perché lui non comunica con le parole e nemmeno con i gesti. È davvero difficile entrare in comunicazione con Chicco, bisogna essere bravi a cogliere il momento giusto, come quando mi dà il braccio per camminare. Alcuni giorni, poi, ripete continuamente le stesse frasi e, per quanto ti possa sforzare, è quasi impossibile instaurare una conversazione con lui. A volte, non abbiamo neppure gli strumenti per comprendere se prova piacere oppure prova dolore”. Una cosa è certa, però: Francesco, che ha solo un anno in meno di sua sorella, è stato sempre parte della vita di Valeria: “Non saprei dire quando ho realizzato per la prima volta che mio fratello era diverso dagli altri. Crescevamo insieme, era normale vedere mio fratello così com’era, non mi ricordo di aver mai avvertito qualcosa di strano in lui. Per me era normale che fosse così come lo avevo sempre conosciuto. Immagino che a un certo punto devo aver cominciato a porre qualche domanda ai miei genitori, tipo chiedergli perché non mangiava da solo, ma lo facevo più che altro per curiosità. Mio fratello è sempre stato nella mia vita ed è sempre stato così, per me quello che faceva, che diceva o che non diceva era assolutamente normale. Insomma, non ricordo di nessuna rivelazione da parte dei miei genitori e tanto meno di qualche tipo di trauma. Eravamo quasi coetanei e fin dall’inizio devo aver percepito la sua diversità, credo di essermene resa conto subito. Insomma, non mi sono posta tante domande e mi sono fatta andare bene le cose così com’erano. D’altra parte, tutti i bambini con cui avevo rapporti conoscevano mio fratello, sapevano che era fatto così e nessuno ci faceva caso più di tanto. Allo stesso modo io sapevo che era diverso da me, dai miei amici, dai fratelli dei miei amici”.
Valeria non ha mai avvertito la sensazione che i genitori la trascurassero per concentrarsi sulle esigenze di Chicco. “Non è accaduto mai, neanche durante l’adolescenza, quando sei nella fase in cui sei convinta che ce l’abbiano tutti con te. Certo, i miei si occupavano più di lui che di me, ma era ovvio che necessitasse di maggiori attenzioni e io sapevo che lo facevano perché ne aveva davvero bisogno. Non ho mai sofferto per la mancanza di attenzioni da parte loro, anzi crescendo mi sono lamentata che mi stessero troppo addosso e ho cercato di conquistare maggiori spazi di libertà”. Fin da piccola Valeria ha cercato di aiutare mamma e papà, quando si occupavano di Francesco. “Mi è capitato da poco di rivedere dei video di noi da piccoli, quando io avevo cinque anni e lui quattro: in una scena cercavo di aiutare mia madre a vestire mio fratello, tentavo in tutti i modi di rendermi utile. Già da allora avevo lo spirito della crocerossina, tendo sempre a voler aiutare le persone in difficoltà”. Il futuro, infine, Valeria lo vede in questi termini: “Probabilmente rimarrò in Emilia-Romagna e tra un paio di anni anche i miei genitori verranno a vivere qui, vicino a me. Questo mi fa sentire più tranquilla. Sarà più facile riprendere i rapporti che si sono un po’ allentati da quando sono partita. Spero di riallacciare un contatto più intimo con la mia famiglia, anche prima del covid non era facile scendere in Puglia. Sono speranzosa che, quando si trasferiranno, potremmo vederci tutti di più”.