Emma e Michele

Per noi fratelli e sorelle di ragazzi e ragazze con disabilità i riflettori sono sempre spenti.
È una delle principali caratteristiche dell’essere sibling

“Mi sembra strano che oggi la protagonista sia io dato che per noi fratelli e sorelle di ragazzi e ragazze con disabilità i riflettori sono sempre spenti. È una delle principali caratteristiche dell’essere sibling”. Inizia con queste parole il racconto di Emma: 43 anni, residente a a Lonigo, in provincia di Vicenza da oltre 10 anni lavora come psicomotricista dopo aver collaborato per diverso tempo con i centri sportivi. Suo fratello minore, Michele, ha 20 anni meno di lei e convive con la Distrofia muscolare di Duchenne, la più grave delle distrofie, che si manifesta in età infantile e causa una progressiva paralisi dei muscoli del corpo. Nel corso della sua vita Emma è stata due volte sibling: prima di Michele, ha avuto un altro fratello, Daniele, nato 3 anni dopo di lei, affetto anche lui dalla Distrofia muscolare di Duchenne ed scomparso a soli 10 anni di età.

“Nell’estate del 1998, poco dopo essere diventata maggiorenne e aver concluso gli studi superiori, è arrivata con grande sorpresa la notizia che era in arrivo un fratellino. Alcuni mesi dopo, a marzo, è nato Michele – racconta Emma –. Avevo praticamente le valigie in mano, ero pronta per andare via di casa e scoprire il mondo. E invece sono rimasta”. Emma prosegue gli studi, scegliendo la facoltà di Scienze Motorie e rendendo, nel tempo, l’attività fisica la sua professione. “Oggi posso dire per certo che avevo la necessità assoluta di vivere nel movimento, avevo bisogno di muovermi: era la mia modalità per sentirmi viva”, riflette. Dopo la nascita di Michele, dunque, Emma modifica i suoi piani e resta in famiglia, uscendo definitivamente di casa a 27 anni per andare a vivere con il suo compagno. “Ho avuto un lungo fidanzamento, una lunga convivenza e un matrimonio che è fallito dopo poco – spiega –. Ma non mi sono mai allontanata definitivamente, anche se ho trascorso alcuni periodi lontano da casa. Negli anni ho voluto affrontare con l’aiuto di una psicoterapeuta, la questione della distanza dalla famiglia di origine: una distanza non solo e non tanto fisica, ma soprattutto psichica”.

“Mi è stato difficile rimanere focalizzata soltanto sui miei obiettivi di vita, perché una parte di me rimane sempre vigile rispetto alle necessità di mio fratello, cosa che continuo a fare tuttora. I miei genitori non mi hanno mai chiesto di aiutarli, anzi mi hanno sempre spronato a concentrarmi sulla mia vita, ma io ho sentito anche l’onere di fare quello che, a mio avviso, era giusto fare. Ho sentito cioè la responsabilità di essere presente e sviluppare le competenze necessarie per poter contribuire a gestire al meglio quella disabilità così impattante sulla vita di mio fratello e di tutti noi. Mi sono sempre chiesta: ma se io fossi al suo posto che sorella vorrei? Chi vorrei avere al mio fianco?”

Quando è nato Michele, la madre aveva 44 anni e il padre 53: avevano già avuto due figli e, secondo Emma, erano già in una fase diversa della vita. “Quindi la spinta giovanile in casa in quegli anni l’ho data io, togliendo una parte di energie alla mia vita – continua –. Ma credo di aver aver fatto e di fare né più e né meno di quello che bisogna fare, e non mi sento per nulla una persona speciale: sono semplicemente a fianco di mio fratello quando ne ha bisogno, niente di più”. Nel corso degli anni Emma ha riflettuto a lungo su cosa voglia dire vivere insieme a un fratello con una disabilità. “Siamo allenati a tutto noi sibling – dice –. Sappiamo che c’è sempre qualcosa di più urgente rispetto alle nostre necessità – prosegue –. Si impara a essere resilienti, a trovare una soluzione a ogni tipo di difficoltà. E se si presentano nuove difficoltà bisogna trovare nuove soluzioni. Non c’è altra strada, devi imparare a vedere il lato positivo della vita, a capire il valore di tante cose che normalmente si danno per scontate, impari a essere una persona più sensibile ed empatica”.

Nel momento in cui Michele è arrivato in famiglia, Emma era una giovane donna. I 20 anni di differenza di età hanno condizionato inevitabilmente il rapporto tra i due fratelli. Emma riflette anche sul fatto di non avere avuto figli. A differenza di sua madre, non è portatrice della mutazione genetica che provoca la Distrofia muscolare di Duchenne. Ciò nonostante ha avuto molta paura di mettere al mondo figli con distrofia: “E così oggi non sono madre, ma non ho rimpianti, il lavoro di psicomotricista mi ha dato la possibilità di stare a contatto con i bambini per tanto tempo e ne sono felice”, dice. Provando a fare un bilancio della sua vita, Emma afferma: “Quello che mi è mancato, per tanti anni, è la spensieratezza, che ho cercato e imparato a riconoscere come valore positivo. Per tutta la vita mi ha accompagnato un grande senso di responsabilità, che a volte è pesante da sostenere se ci si sente soli come sorelle/fratelli”. Poi, riflettendo sul ruolo dei genitori, aggiunge: “I genitori, a volte, fanno fatica a a comprendere che loro, a differenza di noi figli, entrano in contatto diretto con le problematiche che porta la disabilità in età adulta, quando diventano genitori”.

Attualmente Emma è in una fase della vita in cui ha raggiunto la propria indipendenza sotto diversi punti di vista. “È un momento felice – dice –: dopo dei lavori precari e alcune relazioni che non sono andate come sarebbero dovute andare, le cose si sono sistemate”. Rispetto a suo fratello, invece, precisa: “Da qualche anno ho contribuito a creare una rete medica e socio-sanitaria intorno a Michele per il suo benessere e la mia tranquillità. In presenza di una rete attiva ed efficace, io mi sento più serena e riesco a dedicare più tempo alle mie occupazioni, sicura di lasciare mio fratello e la mia famiglia in buone mani”. E, pensandoci ancora su prosegue: “Sono felice e orgogliosa che da qualche anno la relazione con mio fratello è maturata. Lo sento più adulto e autonomo ed ora possiamo concederci di vivere un rapporto tra fratelli alla pari. Sembrerà strano, ma finalmente mi concedo di litigare con lui senza sentirmi in colpa. Una sensazione piacevole e sana, che oggi accolgo. Una dinamica comunque sana perché è la dimensione che vivono tutti i fratelli e le sorelle nella normalità, tra bisticci e slanci di complicità, e che per molto tempo mi sono impedita di vivere. Sento – precisa – che abbiamo costruito un legame forte e sincero fatto di stima reciproca e profonda gratitudine, di esserci reciprocamente aiutati a migliorare come persone. Con mio fratello ho sviluppato velocemente competenze che migliorano la qualità delle mie giornate e mi hanno fatto capire il senso profondo della vita. Oggi riusciamo a superare entrambi le difficoltà reali con coraggio, senza farci abbattere dai problemi. Cerchiamo di vedere il lato positivo delle esperienze che facciamo, per godere di ogni istante vissuto e nutrirci di quello sguardo condiviso carico di gioia e profonda gratitudine l’una per l’altro”.

 

Emma spera che la sua esperienza possa essere utile anche per altri. “Confido che queste parole siano un ponte tra me ed altri sibling, grazie all’esperienza che anch’io ho vissuto tanti anni fa con all’associazione Parent Project, che iniziò a organizzare sessioni dedicate ai fratelli e sorelle durante la consueta conferenza annuale. La possibilità di poter finalmente condividere i miei vissuti fu di grande aiuto perché iniziai concretamente a sentire che non ero più sola – conclude –. Posso oggi, grazie all’associazione e al loro sguardo verso il futuro, contare finalmente sulla profonda comprensione e accoglienza di un gruppo, di altre persone che come me vivono in modo diverso la vicinanza alla disabilità e che si aiutano reciprocamente per diventare migliori.”