Loredana e Luisella

Il mio desiderio più profondo è che mia sorella abbia una sua casa. Casa, casa, casa: è la parola che mi ripeto in continuazione quando penso a lei.

Loredana è nata 58 anni fa a Milano, ma oggi abita in un piccolo paese, in provincia di Pavia, con la sua famiglia, composta da un marito e due figli: Stefano di 23 anni e Giada di 21. Lavora come project manager nel settore ricerca e sviluppo di una società di engineering e tutte le volte che può va a trovare sua sorella Luisella, che abita a 20 chilometri di distanza, insieme ai genitori. Luisella, che oggi ha 54 anni, ha la sindrome di Angelman, una malattia genetica rara che colpisce una persona ogni 10-20mila individui e si manifesta generalmente nei primi mesi di vita, caratterizzandosi soprattutto attraverso il ritardo dello sviluppo psicomotorio, la compromissione del linguaggio, l’iperattività motoria e un temperamento felice. Fin da bambina Loredana si sente molto coinvolta e sempre presente nella vita di Luisella.

“Siamo cresciute insieme”, racconta. “Io ho avuto sempre un senso di protezione nei suoi confronti”. Pur avendo solo quattro anni in più rispetto alla sorella minore, Loredana ricorda tutto della loro infanzia. “Non ci è voluto molto a comprendere che qualcosa non andava. Ricordo questo andare avanti e indietro dei miei genitori tra medici e ospedali, anche se la diagnosi l’abbiamo avuta solo quando Luisella aveva 41 anni, prima di questa malattia si sapeva poco e niente”. La sindrome è stata descritta per la prima volta nel 1965 dal pediatra inglese Harry Angelman, ma nella maggior parte dei casi ci sono voluti anni prima che arrivassero le diagnosi. “Non si capiva cosa avesse questa bambina, i miei si focalizzavano soprattutto sul fatto che stesse bene, e a un certo punto smisero perfino di cercare la causa dei suoi problemi. Poi, a un certo punto, quasi per caso, è arrivata la diagnosi. Per me è stato un punto di svolta, ma per mia madre è stato un momento difficile, perché per la prima volta veniva messo nero su bianco quel che era accaduto a Luisella, insomma non è stata una cosa semplice da accettare. Io, invece, ho capito subito l’importanza di dare un nome a questa “cosa”, perché scoprire quale fosse la malattia di Luisella apriva la possibilità di ottenere terapie più mirate. Dal momento che il problema c’era, conoscere il nome della malattia offriva, almeno teoricamente, la possibilità di aprire nuove porte”.

Dopo aver appreso che i problemi di Luisella dipendevano dalla sindrome di Angelman, Loredana ha subito cercato di comprendere le caratteristiche della malattia ed è voluta entrare in contatto con altre famiglie con lo stesso problema. “Ora finalmente possiamo capire tante cose che prima non sapevamo”, dice. “Abbiamo trovato conferma che Luisella comprendeva effettivamente alcune cose. Non avevamo mai saputo cosa capisse e cosa no e questa mancanza di comunicazione condizionava i rapporti con lei. Eravamo costretti a farci un’idea giorno per giorno, invece quando conosci la malattia sai dove puoi arrivare e dove no. I bambini con la sindrome di Angelman sono un diverso dall’altro, ma hanno delle caratteristiche comuni ed avere delle linee guida sicuramente ti aiuta”.

Da bambina Loredana era molto protettiva con sua sorella minore. “La vedevo più fragile”, ricorda. “Per me Luisella doveva sempre stare in prima fila, per me aveva una corsia preferenziale in ogni situazione. Se gli altri bambini facevano qualche brutta battuta, usando la disabilità per offendere un compagno, ci rimanevo malissimo. Ho vissuto il passaggio dalle classi differenziali all’inclusione scolastica fino all’avvento dei centri diurni”. All’epoca Loredana si sentiva partecipe delle scelte riguardanti Luisella, anche se i genitori non la consideravano abbastanza grande da poter capire. “I genitori non hanno la consapevolezza di quanto gli altri figli possano essere partecipi. Anche se non hanno la possibilità di decidere, non considerano le decisioni riguardanti i fratelli e le sorelle disabili come qualcosa che non li riguarda”. Allo stesso modo i bambini sono vicini ai propri genitori quando si prendono cura dei fratelli più fragili. “Sono stata sempre accanto a mia madre, anche durante i vari ricoveri di mia sorella: oltre al supporto materiale c’è stato sempre un coinvolgimento emotivo”, afferma Loredana. “È inevitabile sentirsi coinvolti: capisci subito che tua sorella non andrà nella tua stessa scuola e che, quando avrà la tua stessa età, non farà le stesse cose che fai tu. Poi arriva l’adolescenza e con essa il distacco dalla famiglia: i primi innamoramenti, le feste, le vacanze con gli amici. E allora rifletti e ti dici: io posso fare cose che mia sorella non potrà mai fare”.

Nello stesso tempo, fin da giovanissimi, i fratelli e le sorelle si assumono spesso responsabilità gravose per la loro età: “Portavo Luisella a giocare con me e, quando facevo le medie, davo il cambio in ospedale a mia madre durante i suoi ricoveri oppure dovevo affrettarmi a rientrare a casa per essere presente quando lei tornava a casa da scuola. Non era semplice organizzare una festa e perfino studiare poteva risultare complicato: Luisella richiedeva tante attenzione. Finché sei immersa in quella situazione neppure te ne rendi conto, solo quando sono diventata mamma a mia volta ho preso coscienza di quanto potessero essere impegnativi i carichi che avevo da bambina”.

Pensando al rapporto tra lei e Luisella, Loredana riflette: “Non ho mai provato sentimenti di rabbia nei confronti di mia sorella, quando c’era una difficoltà ho sempre cercato la soluzione. E poi Luisella è una persona bellissima: è solare, gioiosa, sempre sorridente, è pressoché impossibile arrabbiarsi con lei. Insomma, è una sorella fantastica, anche se è molto impegnativa e ne combina di tutti i colori. Inoltre ha un rapporto meraviglioso con i miei figli, che sono molto legati alla zia: per le persone disabili non esiste solo il rapporto con i fratelli e le sorelle, ma anche quello con i nipoti”.

C’è poi il capitolo del cosiddetto “dopo di noi”. “È un passaggio di testimone dai genitori ai fratelli”, sottolinea. “Una cosa molto difficile, visto che non riguarda un bambino, ma un adulto, con abitudini consolidate. E questo i fratelli, anche se non lo dicono, lo sanno da sempre”. Fin da ragazza Loredana rifletteva sul fatto che lei avrebbe avuto una casa e una famiglia tutte sue e Luisella no. “Per questo il mio desiderio più profondo è che mia sorella abbia una sua casa. Casa, casa, casa: è la parola che mi ripeto in continuazione quando penso a lei. Quindi la legge 112, nota come legge sul “dopo di noi”, è arrivata nella mia vita come un arcobaleno. È come se mi avessero dato la possibilità di realizzare un sogno: perché Luisella non dovrebbe poter restare a casa propria con la necessaria assistenza? Si è finalmente affacciata la speranza che possa avere un futuro sereno, vivendo con chi vuole, in una vera casa, come tutti quanti gli altri. Insomma, quando ho avuto modo di leggere il testo della legge 112 mi sono detta: è come se mi avessero letto nel pensiero”.

Un momento fondamentale per Loredana è stata la possibilità di incontrare altre mamme e papà di bambini con la sindrome di Angelman. “È stata un’emozione indimenticabile”, precisa: “una cosa che ha avuto un impatto fortissimo nella mia esperienza di sorella. C’erano anche genitori molto giovani, ricordo in particolare un padre poco più grande di mio figlio, con in braccio un bambino piccolo. Per me è stato come rivedere da capo un film, di cui conoscevo tutta la trama. Da questa esperienza è nata l’associazione “Il sorriso Angelman”, che ho costituito insieme a un gruppo di genitori con lo scopo primario di raccogliere fondi per la ricerca. L’idea che la ricerca possa aiutare i più piccoli è il sogno più grande per me”.