Sharon e Pietro

Abbiamo sempre paura di non passare abbastanza tempo con il nostro fratello minore.
I momenti che trascorriamo insieme a lui ci sembrano sempre troppo pochi

Sharon è nata nel 2001 a Reggio Calabria, città che abbandonerà nelle prossime settimane per proseguire gli studi in un’università del Nord Italia, dove conta di frequentare il corso di laurea magistrale in Psicologia clinica. Suo fratello Pietro, che tutti chiamano Pie, ha 9 anni e, nel momento in cui è stata raccolta la testimonianza di Sharon, si accingeva a frequentare la terza elementare. Pietro, che è l’ultimo di un gruppo di cinque tra fratelli e sorelle, ha la malattia di Batten, nota anche come ceroidolipofuscinosi neuronale: una patologia rara caratterizzata dal deterioramento della vista e dal progressivo decadimento delle capacità cognitive e motorie. E proprio a Pietro, “il raggio di sole che illumina la mia esistenza”, Sharon ha dedicato la tesi di laurea in Scienze tecniche psicologiche cliniche e preventive discussa nei mesi scorsi presso l’Università degli studi di Messina. Non a caso la tesi, incentrata sul tema dei sibling, s’intitola “Il rapporto tra fratelli: come influisce la disabilità in uno di loro“.

“Pietro è cambiato molto ultimamente, non è più quello di un tempo – racconta Sharon –. Prima dell’esordio della malattia era un bambino molto vivace, che correva e saltava per tutta la casa. I problemi sono iniziati verso i 4 anni e mezzo, quando sono comparse le prime cadute mentre camminava. Così sono cominciate le indagini, ma all’inizio non si pensava a una cosa così grave”. Pietro ha ricevuto la diagnosi nel 2019, circa un anno e mezzo dopo la manifestazione dei primi sintomi. “Quando è arrivata la diagnosi, la malattia sembrava una cosa astratta e molto lontana – ricorda sua sorella –. Ma poi le cose sono peggiorate in maniera molto più rapida di quanto non ci aspettassimo. Oggi Pie è allettato e non vede più. Ha dovuto anche mettere la Peg e questo, tutto sommato, è stato un bene perché era dimagrito troppo. Così ora mia madre, che si occupa di lui, riesce a somministrargli più facilmente i farmaci e a farlo mangiare in maniera adeguata”. Purtroppo da quando ha fatto l’intervento per la Peg, all’inizio dell’estate, le condizioni del piccolo sono peggiorate, ma Sharon spera che tale peggioramento non incida negativamente sulla frequenza scolastica “perché Pietro a scuola si diverte molto e, soprattutto, ama ascoltare le voci dei bambini”.

Per descrivere se stessa Sharon ricorre alle parole degli altri. “Di me dicono che sono una ragazza paziente, responsabile e con la testa sulle spalle – sottolinea –. Mi piace studiare e ho scelto l’indirizzo psicologico perché amo aiutare le persone. Dono il sangue e faccio volontariato, dando una mano a raccogliere beni di prima necessità per i migranti e, recentemente, anche per gli ucraini arrivati in Italia in fuga dalla guerra”. Ora che ha terminato la laurea triennale, Sharon punta alla Specialistica in Psicologia clinica: “Finora ho studiato a Messina – racconta – ma per la Specialistica ho fatto domanda in varie Università del Nord, perché in Calabria non esiste la facoltà di Psicologia. Ho capito che le persone devono andare avanti nella loro vita – scandisce –. Quindi, anche se a malincuore, dovrò lasciare la mia famiglia. Non posso restare qui”. 

Sharon conserva dei ricordi molto belli della nascita di suo fratello Pietro. “L’inizio è stato meraviglioso – ricorda –. Avendo già 12 anni, ho potuto vivere la gravidanza di mia madre insieme a lei. E quando finalmente è nato, Pietro era un bambino bellissimo: aveva le mani piccole piccole e un sacco di capelli in testa”. Finite le scuole superiori, Sharon si è trasferita a Messina per frequentare l’università, proprio nel 2019, l’anno in cui suo fratello ha ricevuto la diagnosi. “Si tratta del periodo in cui cominciava a peggiorare, ma trovandomi in un’altra città non non ho vissuto direttamente il passaggio dalla salute alla malattia, come gli altri fratelli e sorelle. Quando tornavo a casa dopo un mese, lo trovavo sempre peggiorato, una volta in un aspetto, un’altra volta in un altro. In generale, per me e i miei fratelli, è una lotta contro noi stessi e contro il tempo. Abbiamo sempre paura di non trascorrere abbastanza tempo con Pietro. I momenti che passiamo insieme a lui ci sembrano sempre troppo pochi. E anche se la comunicazione oggi è scarsa, e anzi quasi assente, la sua presenza e la sua risata ci danno la forza di continuare a lottare per lui”.

Sharon non si è mai sentita trascurata da sua madre per via di Pie e se mai, durante l’adolescenza, qualche volta ha desiderato ricevere più attenzioni, si è trattato sempre di pensieri del momento, destinati presto a dileguarsi. Pensando al suo attuale rapporto col fratello, afferma: “Adesso con Pie non riusciamo a fare chissà cosa, ma a volte ascoltiamo musica insieme. In alcuni casi aiuto mia madre a fargli la doccia, ma non riesco a dare una mano con la Peg perché sono facilmente impressionabile. In compenso gli racconto le storie, gioco insieme a lui, soprattutto fingendo di tagliargli i capelli. Pietro non parla – riflette sua sorella – ma quando riconosce una parola o un concetto alza gli occhi in segno di assenso. Pronuncia solo qualche parolina, ma il mio nome non lo ha detto mai e per comunicare ci basiamo sul movimento degli occhi, anche se non sempre risulta facile capire cosa vorrebbe dire”.

Per aiutare le persone, soprattutto quelle che non riescono a farsi comprendere, Sharon ha scelto di studiare Psicologia. “Ma volevo anche aprire una riflessione sul tema dei fratelli e delle sorelle dei ragazzi con disabilità, perché si pensa sempre ai genitori e non si comprende che anche loro possono vivere delle difficoltà. La mia esperienza personale ha pesato moltissimo anche sulla stesura della mia tesi di laurea – conclude Sharon –. Ci ho messo tanto cuore e tanta testa in questo lavoro, ma la vera fonte d’ispirazione è stato mio fratello. Per il futuro il mio sogno è lavorare come psicologa all’interno delle équipe che si occupano di malattie rare negli ospedali, fornendo supporto ai pazienti e alle loro famiglie”.