S’intitola “Prima che sia notte” l’ultimo volume della scrittrice Silvia Vecchini liberamente ispirato alla vicenda dei due sibling. La mamma: “È un libro che tutti dovrebbero leggere, perché incrocia tanti temi”
Emma e Carlo sono fratello e sorella. Vivono con i loro genitori e il cane Lulù su un’isola, la Sardegna, che tante volte li ha visti partire alla volta del Continente, per viaggi che hanno il sapore della speranza e dell’attesa. Perché Carlo, che oggi ha 14 anni e la sindrome di Charge, più volte, negli anni, ha dovuto lasciare la propria casa per cure e ricoveri. E ora questi due bambini, ormai diventati ragazzi, sono i protagonisti di “Prima che sia notte” (Bompiani, dai 10 anni in su), l’ultimo volume della scrittrice Silvia Vecchini, che alla loro vicenda ha voluto ispirarsi per trarne un’opera a mezza strada tra la poesia e la prosa. Al centro della narrazione il rapporto tra fratelli, raccontato con le parole di Emma, oggi 11enne, che con la malattia del fratello maggiore si confronta fin da piccola, seguendone l’evoluzione e gli snodi. Perché Carlo non sente e vede solo da un occhio e tante volte è stato aperto, cucito e ferito in tante parti del corpo che, a dirle tutte, sarebbe come giocare all’allegro chirurgo. E ora che anche quell’unico occhio da cui vede è a rischio, Emma deve trovare la forza per continuare a sperare e dare un senso agli eventi.
“Conosciamo Silvia Vecchini da anni”, racconta Sonia Desini, mamma di Carlo ed Emma, e membra dell’associazione Mondo Charge. “L’ho incontrata per la prima volta durante un corso di animazione alla lettura per l’infanzia e da lì ci siamo sempre frequentate. Nel tempo ha avuto modo di conoscere da vicino i nostri figli, da cui è rimasta affascinata. Soprattutto da Emma, a cui ha sempre pensato come potenziale protagonista di uno dei sui libri”. Un tempo Sonia lavorava come educatrice ambientale, poi gli impegni familiari l’hanno indotta a lasciare il lavoro, ma conserva intatti l’amore per i ragazzi e la passione per la letteratura per l’infanzia. Nel solco di questa comune passione, col tempo, si è approfondito il rapporto con la scrittrice, che oggi è quasi una persona di famiglia. Il volume non è, però, né una cronaca né una biografia. E non nomina mai espressamente la sindrome di Charge, lasciando i dettagli medici sullo sfondo: “Silvia si è liberamente ispirata al rapporto tra Emma e Carlo per ricavarne un’opera che raccontasse il legame tra due fratelli”, prosegue Sonia. “Per non debordare nella storia vera, ha dato voce al suo pensiero prima attraverso la poesia e, solo in un secondo momento, attraverso la prosa. Ha avuto la delicatezza di far leggere il manoscritto a Emma e di chiederle l’autorizzazione per la pubblicazione. Lei è stata molto felice, si è sentita davvero accolta. Ha anche condiviso questo momento di gioia con i suoi compagni di scuola che hanno comprato tutti il libro”.
Dietro il linguaggio poetico, il volume apre una finestra sulla vita concreta di una famiglia che si trova a confrontarsi con una malattia rara: il Braille, il rapporto complesso con la scuola che indurrà Sonia e suo marito a optare per l’educazione parentale e l’uso della Lingua dei segni italiana, che hanno cominciato a studiare 11 fa, quando si sono accorti che Carlo conservava un residuo visivo e che oggi tutti conoscono e continuano a perfezionare, cane compreso. Mentre Carlo, da parte sua, ora che il residuo visivo si sta spegnendo, continua a comunicare con la Lis in “produzione” e usa la Lis tattile in “ricezione”. E poi c’è la delicata questione degli equilibri familiari: “Come tutti i ragazzi disabili, Carlo rischia di catalizzare su di sé tutte le attenzioni della famiglia”, sottolinea la mamma, “ma Silvia ha avuto la sensibilità di guardare il mondo attraverso gli occhi di Emma”. Eppure il volume non somiglia a un manuale sui sibling, tutt’altro. “Parla in primo luogo del rapporto tra fratelli. È un libro che tutti dovrebbero leggere, perché incrocia molti argomenti diversi: i sibling, la malattia rara, la scuola. Sono tanti i temi che una famiglia che ha al proprio interno una disabilità deve affrontare ogni giorno”.
Antonella Patete